Andrea Sirotti Gaudenzi

I ricorsi alla Corte europea dei Diritti dell'Uomo

Guida pratica alla tutela dei diritti umani in Europa

"I Prontuari giuridici" - serie diretta da A. Sirotti Gaudenzi
Maggioli editore, gennaio 2001

LA CORTE DI STRASBURGO CONDANNA L'ECCESSIVA DURATA DEI PROCESSI ITALIANI
24 sentenze emesse contro l'Italia

Sintesi dell'editoriale di Andrea Sirotti Gaudenzi "La Corte europea
condanna la giustizia italiana", pubblicato sulla prima pagina di Italia
Oggi del 26 gennaio 2001.

 

Lo scorso 16 gennaio la Corte europea dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo ha inflitto al nostro Paese ben 24 sentenze di condanna per la violazione dell'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani, firmata a Roma il 4 novembre 1950 ed attualmente ratificata da 41 Paesi.
L'art. 6 della Convenzione, nel sancire il diritto ad un processo equo, stabilisce che "ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole."
E' evidente che, di fronte ai lunghissimi tempi che caratterizzano i processi celebrati davanti ai giudici nazionali, difficilmente nel nostro Paese può essere garantito il rispetto del principio del "termine ragionevole", tant'è che la Corte di Strasburgo e il Consiglio d'Europa hanno preso atto oramai da tempo della difficilissima situazione della macchina della giustizia italiana.
Inoltre, nelle recenti sentenze di condanna, i giudici di Strasburgo hanno stabilito che il "sovraccarico cronico" dei tribunali italiani non può essere addotto quale giustificazione plausibile dei ritardi, dato che ogni Paese che sottoscriva la Convenzione europea è tenuto a rispettare pienamente i principi in essa contenuti.

L'art. 35 della Convenzione stabilisce che il ricorso alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo può essere presentato da una persona fisica o giuridica che sia stata parte in una controversia davanti ai giudici nazionali e solo dopo che siano stati esauriti tutti i possibili rimedi giurisdizionali davanti agli stessi giudici nazionali (vale a dire fino alla sentenza definitiva in Cassazione) e non oltre il termine perentorio di sei
mesi, a decorrere dalla data di pubblicazione di tale sentenza. Mentre un tempo la disposizione relativa al termine di sei mesi, veniva interpretata in maniera restrittiva, oggi si ritiene che sia possibile presentare un
ricorso alla Corte di Strasburgo anche se non è stata pronunciata la decisione definitiva da parte dello Stato per i casi in cui si denunci l’eccessiva durata dei procedimenti davanti alle autorità nazionali (frequentemente ciò accade proprio con riferimento ai ricorsi presentati da cittadini italiani).
Il termine di sei mesi decorre dal giorno successivo alla data della pronuncia in pubblico della decisione definitiva o, in assenza di pronuncia, dal giorno successivo alla notifica della copia della sentenza al ricorrente o al suo rappresentante.

Lo “schema – tipo” di un ricorso (che può essere redatto anche senza l'assistenza di un avvocato) prevede:
1) il nome, la data di nascita, la nazionalità, la professione e l’indirizzo del ricorrente;
2) il nome, la professione e l’indirizzo dell’eventuale rappresentante;
3) l’indicazione della parte o delle parti contro le quali è presentato il ricorso;
4) l’esposizione sintetica dei fatti;
5) una sintetica esposizione della violazione (o delle violazioni) lamentata delle Convenzione, accompagnata dalle relative argomentazioni;
6) l’indicazione del rispetto da parte del ricorrente delle condizioni di ricevibilità ai sensi dell’art. 35 della Convenzione;
7) l’oggetto del ricorso e l’indicazione generale delle domande di equa soddisfazione;
8) le copie di tutti i documenti pertinenti.

Inoltre, il ricorrente deve chiarire se ha sottoposto le sue doglianze anche ad un altro organismo internazionale, in virtù dell’antico principio -proprio del diritto internazionale- electa una via non datur recursus ad alteram.
Se il ricorrente non vuole che sia rivelata la sua identità, deve precisarlo, fornendo un’esposizione delle ragioni che giustifichino la deroga.
Al ricorso si devono allegare le copie di tutti i documenti processuali (ma non sono necessarie le copie originali).
Nel caso in cui il ricorso sia presentato da un’organizzazione non governativa o da un gruppo di privati, l’istanza va firmata dalle persone che ne hanno la rappresentanza. Il nuovo regolamento della Corte, infatti, all’art. 45 stabilisce che la Camera o il comitato interessati decidono solo se il ricorso viene firmato da chi ne aveva competenza.
Il ricorso viene notificato allo Stato italiano direttamente dalla cancelleria della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Tutti i rapporti con la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo avvengono in via epistolare e la procedura è totalmente gratuita, anche in caso di rigetto dell'istanza.
In una prima fase, la Corte di Strasburgo si pronuncia sulla ricevibilità del ricorso; successivamente si svolge l'udienza di audizione delle parti (facoltativa) e vengono raccolti gli elementi di prova.
L'eventuale sentenza di condanna prevede che lo Stato resosi "colpevole" delle violazioni dei principi fondamentali debba risarcire il danno subito dal ricorrente, a condizione che venga dimostrato (in virtù dell'antico principio iuxta alligata et probata).  Infatti, la Corte, in assenza di specifiche richieste da parte dell’istante non è tenuta a liquidare alcunchè, dato che non ha l’obbligo di verificare e quantificare il danno d’
ufficio.
In ogni caso, una volta formulata la richiesta, la Corte si vede garantita un’ampia forma di discrezionalità nella quantificazione dell'equa soddisfazione alla parte lesa, così come previsto dall'art. 41 della Convenzione.

Andrea Sirotti Gaudenzi
avvocato
sirottigaudenzi@worldonline.it

 

 

 

© dirittoeuropeo.it

La riproduzione del materiale pubblicato su questo sito è vietata se non è citata la fonte.
Ogni contravvenzione a tale obbligo sarà perseguita a norma di legge.